Canti orfici

Canti Orfici è una raccolta di componimenti letterari in prosimetro scritta da Dino Campana.

Fu originariamente composta nel 1913, in una prima ed unica stesura che portava il titolo Il più lungo giorno, che fu consegnata per la pubblicazione a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici; quest'ultimo perse però il manoscritto originale, costringendo Campana a riscrivere l'opera quasi interamente a memoria.

Per lungo tempo l'autografo dell'originale si considerò perduto: venne ritrovato solamente nel 1971, tra le carte di Soffici.

By : Dino Campana (1885 - 1932)

01 - La notte



02 - Notturni



03 - La notte



04 - Varie e frammenti


Il libro di Campana si alterna tra la prosa e i versi ad imitare Rimbaud e Baudelaire che erano stati i precursori nel creare un rapporto tra i due codici linguistici in una stessa opera unitaria.

Il libro appare con una struttura ben precisa composta da: 1) titolo; 2) sottotitolo e dedica; 3) testi; 4) il colophon con cui si chiude il testo.

Titolo
Canti Orfici sostituisce il titolo precedente, Il più lungo giorno, che era una citazione di un passo de Il ritorno compreso nella terza parte del poemetto in prosa «La notte»:
«E si raccoglie la mia anima - e volta al più lungo giorno de l'amore antico ancora leva chiaro un canto a l'amore notturno»

(La notte)
passo che nei Canti Orfici è poi scomparso.

Con l'aggettivo "Orfico", Campana alludeva (benché nell'opera manchino richiami espliciti) ad Orfeo, il mitico poeta delle origini capace di incantare le fiere e di sfidare la morte scendendo agli Inferi per fare tornare alla vita l'amata Euridice. Il personaggio di Orfeo, la cui vicenda è nota soprattutto per essere stata narrata nel quarto libro delle Georgiche da Virgilio, aveva ispirato nell'antichità un culto iniziatico denominato appunto Orfismo. Definendo dunque Orfici i suoi Canti, Campana vuole sottolinearne alcuni aspetti: il carattere di una poesia originaria, che ha radici remote e misteriose (forse anche in polemica con l'esaltazione futurista della modernità), di una poesia notturna, che scende nei recessi profondi dell'animo umano e fa uso di un linguaggio criptico sfidando le convenzioni del linguaggio comune. Inoltre Orfeo, secondo Virgilio, muore fatto a pezzi dalle donne dei Ciconi, così come viene fatto a pezzi il fanciullo evocato nel colophon dell'opera.

Va peraltro detto che al mito di Orfeo fanno riferimento anche altri poeti dell'epoca e che Campana conosceva certamente il capitolo Orphée (Les mystères de Dyonysos) dei Grands initiés, Esquisse de l'histoire secrète des religions, di Edouard Shuré, opera che, pubblicata in francese nel 1889 e tradotta in italiano nel 1906, godette di uno straordinario successo di pubblico.

Sottotitolo e dedica
Sotto il titolo Canti Orfici vi è scritto "Die Tragödie des letzen Germanen in Italien" (La tragedia dell'ultimo Germano in Italia" e sulla pagina seguente la dedica: "A Guglielmo Imperatore dei Germani l'autore dedica".

Siamo alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale e la scelta di questa dedica, in un clima che si stava facendo sempre più rovente, sembra, a dir poco, inopportuna.
In realtà il poeta dà la spiegazione di questa scelta in una lettera del marzo 1916 indirizzata a Emilio Cecchi: "Ora io dissi die tragödie des lezten germanen in Italien mostrando di aver nel libro conservato la purezza del germano (ideale non reale) che è stata la causa della loro morte in Italia. Ma io dicevo ciò in senso imperialistico e idealistico, non naturalistico. (Cercavo idealmente una patria non avendone). Il germano preso come rappresentante del tipo morale superiore (Dante Leopardi Segantini)".

È chiaro quindi che Campana aveva in mente la parola "germano" come sinonimo di "purezza" e quindi lo aveva usato come aggettivo positivo per evidenziare una differenza. La dedica che segue è pertanto la conseguenza logica di quanto affermava e il poeta rende omaggio al "proprio" sovrano.

Non è vero quanto la leggenda è andata affermando e cioè che in seguito Campana volesse eliminare quelle pagine così pericolose. Si sa da una lettera a Mario Novaro, che risale a prima del maggio 1916, che il poeta voleva che l'appellativo germanico rimanesse: "La condizione della stampa è che non sia omesso: Poeta germanicus". Per quanto poi riguarda la parola "Tragedia" non vuol dire altro che il poeta si sentiva in una posizione tragica e, nel sottotitolo, egli anticipa quanto di sofferto autobiografico ci sarà nel testo.

I testi
Nel mettere a confronto il manoscritto del Più lungo giorno e il volume dei Canti Orfici si comprende che siamo di fronte ad un solo libro, i Canti Orfici, del quale Il più lungo giorno è solamente un insieme di testi senza un progetto preciso.

Il più lungo giorno è costituito da diciotto componimenti poetici, cinque in prosa, o misti di prosa e versi, e tredici in versi.

I Canti Orfici sono costituiti da ventinove componimenti di cui quindici già presenti nella precedente stesura e quattordici nuovi tra cui dieci in prosa che servono a riequilibrare il testo: quindici componimenti in versi e quattordici in prosa, con l'evidente intento di evidenziare un percorso.

Il "colophon"
In fondo al volume Campana inserisce in forma di colophon una versione modificata di un verso di Walt Whitman tratta da Song of Myself:

They were all torn
and cover'd with
the boy's
blood
(L'originale verso di Whitman diceva invece: "The three were all torn and cover'd with the boy's blood").

Quanto sia importante per Campana questa chiusura lo si può comprendere da ciò che il poeta stesso scrive ad Emilio Cecchi nel marzo del 1916: "Se vivo o morto lui si occuperà ancora di me la prego di non dimenticare le ultime parole che sono le uniche importanti del libro. La citazione è di Walt Whitman che adoro nel Song of myself quando parla della cattura del flour of the race of rangers".

Campana quindi si identifica con i giovani massacrati a tradimento della poesia di Whitman. Così, tra la "tragedia" del sottotitolo e questa conclusione, esiste un legame non solo autobiografico ma anche filosofico e cosmico.

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