Canne al vento

Canne al vento è il più noto romanzo di Grazia Deledda, a tutt’oggi unica donna italiana insignita del Premio Nobel per la Letteratura. Pubblicato nel 1913, si tratta di un autentico capolavoro che riscosse fin dall’inizio un notevole successo di pubblico e critica. Il titolo dell’opera racchiude il tema tanto caro alla scrittrice sarda, quello della “sorte” cui si devono piegare gli uomini, soggetti fragili che, proprio come le canne sbattute dal vento, subiscono la forza e l’inesorabilità del destino, volto a definire la vita dei singoli a dispetto dei personali proponimenti. Sullo sfondo del paesaggio rurale di una Sardegna del primo Novecento rimasta immutata da secoli, a dimostrare questo sono i protagonisti del romanzo, a partire dall’unica delle sorelle Pintor che, ribellandosi alla rigida autorità paterna, tenterà di sfuggire a un destino già segnato nella sua terra natìa, e la cui scelta si ripercuoterà ineluttabilmente sull'esistenza dei familiari rimasti a casa, sulla vita del fedele servo Efix, nonché su quella del figlio Giacinto, che a quella terra abbandonata dalla madre farà, un giorno, ritorno…

By : Grazia Deledda (1871 - 1936)

01 - Capitolo I



02 - Capitolo II



03 - Capitolo III



04 - Capitolo IV



05 - Capitolo V



06 - Capitolo VI



07 - Capitolo VII



08 - Capitolo VIII



09 - Capitolo IX



10 - Capitolo X



11 - Capitolo XI



12 - Capitolo XII



13 - Capitolo XIII



14 - Capitolo XIV



15 - Capitolo XV



16 - Capitolo XVI



17 - Capitolo XVII


In un villaggio sardo, Galte, non lontano dalla foce del Cedrino, sulla costa tirrenica della Sardegna, vive la nobile famiglia Pintor: padre, madre e quattro figlie. Il padre, Don Zame, rappresentato come rosso e violento come il diavolo, è un uomo superbo e orgoglioso, ma anche prepotente e soprattutto geloso dell'onore della famiglia e ne protegge il prestigio e la nobile reputazione nel paese. Le donne, dedite ai lavori domestici, restano a casa. A questa condizione femminile si ribella solo Lia, la terza delle sue figlie, la quale, trasgredendo le regole imposte dal genitore, fugge sulla penisola per "prender parte alla festa della vita". Approda a Civitavecchia. Qui si sposa e ha un figlio. Don Zame sembra impazzire per lo scandalo - "Un'ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita così." - Il padre, mentre tenta di inseguire la figlia, viene trovato misteriosamente morto sul ponte all'uscita dal paese. Il fatto criminoso resterà avvolto in una sorta di mistero: disgrazia o delitto? Questo è l'antefatto del romanzo che nella realtà narrativa viene rivelato con anacronie, nel corso della narrazione, la quale in verità comincia nel momento in cui viene annunciato l'arrivo di Giacinto, il figlio di Lia rimasto orfano di entrambi i genitori, in casa Pintor.

Quando il romanzo ha inizio, le dame Pintor: Ruth, Ester e Noemi, assistono rassegnate al declino della loro giovinezza, abitano in una casa oramai cadente e sono rimaste proprietarie di un unico, piccolo podere appena sufficiente per il loro sostentamento. La vita delle Pintor scorre in una mestizia malinconica nella quale sfuma il loro orgoglio, che ha guizzi soprattutto in Noemi e meno nelle altre due più anziane, provate dalla rinuncia e dall'aggravarsi della miseria. Invano sono protette dalla dedizione del servo Efix (Efisio è un nome molto diffuso nel sud della Sardegna e si chiama così uno dei santi patroni della città di Cagliari), legato a loro, come il carnefice alla vittima, da un forte senso di colpa (infatti lui per favorire la fuga di Lia, per cui aveva una devozione appassionata molto simile all'amore, aveva accidentalmente ucciso il padrone). Egli sogna, con pazienza e devozione, il rifiorire della casa e della casata. Una speranza si accende con l'arrivo di Giacinto. Intorno vagano i personaggi minori, membri della comunità e del gruppo, solidali e partecipi con la loro primitiva saggezza: le giovani coetanee di Giacinto, i coetanei delle Pintor, di Efix. Le reazioni all'arrivo di Giacinto sono minutamente descritte nei vari meccanismi di accettazione e rifiuto, finché l'amore finisce per ristabilire un nuovo equilibrio, che ciascun membro della comunità paga con la propria esperienza e in misura adeguata al proprio ruolo.

Le pagine memorabili del romanzo che restano impresse nell'animo del lettore sono numerose: Efix e il suo mondo interiore, le sue riflessioni e le fantasie, gli interni della casa, il paesaggio, i santuari e le feste, la iniziazione difficile di Giacinto, l'amore di Noemi e quello di Grixenda per lui, quello riconoscente delle dame per Efix che si conclude nello splendido attittidu della fine, quando donna Ester parla come in una nenia funebre al servo morto, lo apostrofa e ne veste il cadavere leggero, sola nella grande casa allietata dalle nozze di Noemi col cugino don Pedru.

Il narratore deleddiano adotta via via, in soggettiva, il punto di vista di altri protagonisti, come Noemi e Giacinto, ma soprattutto Efix. Il narratore distingue tra il dialogo cui affida il materiale narrativo oggettivo, spazio-temporale, e il piano soggettivo della percezione del mondo che viene rappresentato attraverso le immaginazioni e le fantasie del protagonista maschile.

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